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Alla libertà : inno

Carducci, Giosuè


Testo di Giosuè Carducci (≤1874, 1850 ?).


Te non il canto che di tenue vena
Lene a gli orecchi mormorio deriva
Nè sottil arte di servil camena
Lusinga, o diva.
 
Te giova il grido che le turbe assorda
E all’armi incalza a l’armi i cuor cessanti,
Te le civili su la ferrea corda
Ire sonanti :
 
E sol fra i casi de la pugna orrendi
E flutti d’aste e fulminose spade
Nel vasto sangue popolar discendi,
O libertade.
 
Tal t’invocava su la terra attea
Trasibul duro nè dubbiosi affanni,
E cadean ostie a la cecropia dea
Trenta tiranni :
 
Tal, sollevato il parricida acciaro,
Teste di regi consecrando a Dite.
Bruto e Virginio un dí ti revocaro
Diva quirite.
 
Ma quale inermi a te le mani porge
Di tra una plebe che percossa giace
Non del tuo viso l’alma luce ei scorge ;
Ma senza pace
 
Assidua larva tu lo premi : ei vola
Tra le tue pugne co ’l desio veloce,
E muto campo gli è il pensiero, e sola
Arme la voce.
 
Tale il tuo nume nel gran cor portando
Correva Italia l’astigiano acerbo,
E trattò il verso come ferreo brando,
Vate superbo :
 
Te fra gli avelli sotto il ciel romano
Chiamava ; e ’l nome giù per l’aer cieco
Cupo rendeva a lui dal vaticano
Vertice l’eco.
 
Tu l’implacato allor flutto d’Atlante
Rasserenavi de le die pupille :
Aspri deserti sotto le tue piante
Fiorian di ville.
 
Quindi crollando la corusca lancia
Saltasti in poppa a i legni di Luigi,
E ti scorgeano i cavalier di Francia
Dentro Parigi.
 
Ma noi te in vano al tuo già sacro ostello
Desiderammo, triste itala prole :
Senza te mesto il cielo ed è men bello
Il nostro sole.
 
Torna, e ti splenda in man l’acciar tremendo
Quale tra i nembi ardente astro Orione ;
Deh torna, o dea, col bianco piè premendo
Mitre e corone.

Pubbl. in Il Comunardo, n.4 (Fano, 1 gennaio 1874), p. 32.