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Il Canto di minatori

Rapisardi, Mario


Testo di Mario Rapisardi (1882).


Tra cieche torre, tra rocce pendenti
Su’l nostro capo, entr’oscure caverne,
Fra pozzi cupi e neri anditi algenti,
Fra rei miasmi, fra tenebre eterne,
 
Degni consorzio, dal mondo noi scissi
A nutrir gli ozj d’ignoti signori,
Noi, picconieri di monti e d’ah
Sepolti vivi, scaviamo tesori.
 
Scaviam tesori noi squallido armento
A voi terreno concilio di Numi,
Tesor di ferro, di zolfo, d’argento ;
Tesor di gemme ch’abbagliano i lumi.
 
A voi la terra vestita di fiori,
Le rene, i cocchi, i teatri, le danze,
Gli stabili ozj, i mutevoli amori,
Il compro riso d’eterne speranze ;
 
A noi non occhio d’azzurro, non sole,
Non aura sana d’amo, e di vita,
Non guardo amico, non dolci parole,
Ma pena eterna, ma notte infinita.
 
Uomini forse non siamo ? Qual tristo
Destin c’infligge si fiera condanna ?
S’esiste Dio, se incarnato s’é Cristo,
Perché all’inferno ancor vivi ci danna ?
 
Scaviam, scaviam ; chi sa ? forse tra poco
Ci mozza il fiato quest’aria maligna,
Ci schiaccia il monte, divoraci il fuoco :
Vedete ? in fondo la morte sogghigna.
 
Scaviam, scaviam le ree viscere a questa
Terra a noi ricca d’obbrobrj e d’affanni ;
Finché un sol guizzo di vita ne resta,,
Scaviamo il trono de’ nostri tiranni.
 
Stridete, su, negre macchine immani,
Argani urlate, picconi battete,
Tuonate, mine, scoppiate, vulcani :
Le nostre tombe mugghiando schiudete.
 
Venuta é l’ora ! Noi vili, noi rei,
Ai forti, ai giusti, sorgiamo davanti ;
Noi, brulicame d’abietti pigmei,
Mirare in volto vogliamo i giganti.
 
Noi v’abbiam dato l’immenso tesoro,
Che in sen chiudeva gelosa la terra ;
Ma voi, titani dell’ozio, con l’oro
Avete mossa a noi primi la guerra.
 
Noi v’abbiam l’arche di gemme ripiene,
E voi le figlie ci avete corrotte ;
Del ferro avere a noi fatte catene
Per inferraci all’errore, alla notte.
 
Del carbon adro, che l’arti ravviva,
Che vi sfossiamo noi maceri e lerci,
A voi calore, a voi luce deriva
E pingui industrie e volanti comerci.
 
Per voi spezziam le montagne, per voi
Scendiam ne’ letti dell’igneo granito ;
E voi co’l marmo negato agli eroi
Colossi ergete a chi il pan ci ha rapito.
 
Eppur, vedete ? siam buoni e cortesi
Benché canaglia da forca e da fogna :
Patrizj biondi, pasciuti borghesi,
Brindiamo un po’, non abbiate vergogna :
 
Brindiamo insieme al Lavoro che affranca
Alla Giustizia che l’opere abbella,
Al pan che a noi, all’onor che a voi manca,
Ed alla Pace che tutti affratella.
 
Ma voi fremete, ed offesi dal lezzo
Dei nostri cenci torcete la faccia :
E ci lanciate co’l vostro disprezzo
Un duro tozzo e una vecchia minaccia.
 
Voi minacciate ? Codardi ? Com’angue
Le cento lingue il nostr’adio saetta :
Non vogliam pane, ma sangue, ma sangue,
Ma un giorno solo d’allegra vendetta.

M. Rapisardi


Esce in : La Miseria : comunismo, anarchia (Buenos Aires, 1890-1891), nº 4 (1 gennaio 1891)