Di cenci una donna vestitaCon occhi infiammati, le ditaSciupava tra gli aghi e i gomitoliAffranta dal lungo lavor.Cuciva Cuciva CucivaTra il lezzo e la fame, e le uscivaIl canto con nota di lugubreAffanno, d’intenso dolor.Lavora lavora lavoraDal canto del gallo, a quell’oraChe scorgi pei vani del luridoSoffitto le stelle brillar !Oh meglio essere nata una schiavaSe Cristo a cucir mi dannava !Le schiva del turchi uno spiritoNon hanno com’io da salvar.Lavora lavora lavoraFinchè il tuo cervello doloraE a l’occhio offuscato una nebbiaDi piombo comincia a calar…E pieghe ed orlato e costura,Costura con pieghe e orlatura,Son giunta al bottoni e cucendoliMi sembra dormire e sognar.Voi, tutti, che avete graditaSorella o compagna, è la vitaChe voi consumate di povereFanciulla, non tela o lavor…E cuci e poi cuci e ricuci,Con fame il tuo refe conduciA tesser camicia e sudario,D’un misero di tra l’orror.Parlare di morte a che giova ?L’orribile scheletro a provaPonete, se a me rassomiglia :Non sento a vederlo terrorLa fame mi ha dato sembianteDi scheletro !… O Dio, perchè tanteFatiche i tuoi pani ci costano,Se l’uomo non ha poi valor ?Lavora lavora lavora !Di tregua non giunge mai l’ora ;Salario m’è un letto di paglia,Dei cenci, e per solo mangiarUn pane ; ho una seggiola, un descoE un triste ricetto : riescoTalora con l’ombra la gelidaE nuda parete adornar.Lavora lavora lavora,Da un battere all’altro dell’ora,Si come forzato che piegasiSul remo i delitti a scontar.orlato impuntura e costura,Costura con orlo e impuntura,Finchè, vinto il core d’angoscia.Non segue la mano ad oprar.Lavora lavora lavora,Del verno alla gelida aurora,E quando sorride la splendidaStagione del canti e dei fior,E allegre le rondini a schieraM’invitano a te, primavera,D’un raggio di sole sui lucidiLor vanni frangendo il baglio.Potessi raccoglier violoFragranti e pervinche, col soleSul capo, con l’erbe freschissimeAdorne di fiori al mio piè,Un’ora soltanto… e sentireLe gioie d’un tempo, gioireSiccome nei dì che l’orribileBisogna era lunge da me !Un’ora vi chiede, soltantoChe possa il mio spirito affrantoAl lungo lavoro dar treguaE il bacio dell’aura sentir…,Per me non v’ha speme nè amore,La vita è un perenne dolore ;Ne piangere io posso : le lagrimeIncagliamo il filo e il cucir.Di cenci una donna vestitaSciupava le stanche sue ditaCon l’ago e col refe ; aveva gonfiePupille dal lungo fissar,Cuciva cuciva cucivaTra il lezzo e la fame, e le uscivaCol gemito il canto : oh se l’animaDei ricchi potesse toccar !
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Testo di Thomas Hood (1843) ; traduz. di Vittorio Richter.